(dedicato a Robert Walser)
1. IN CAMMINO I SENSI ALL’ERTA
In cammino i sensi all’erta
Ascolto i grilli, mi stupisco di sentirli a quest’ora serale
L’odore dell’erba tagliata è penetrante
Evoca le estati in campagna lungofiume viali di pioppi pesca con le mani bagni nell’acqua corrente
Vedo un gatto rannicchiato nel campo ai margini della strada sterrata
Raccolgo un sasso – non si sa mai si trattasse d’un gatto selvatico ma non ne ha
L’aria
Impugno il sasso con fare minaccioso e penso che la natura può essere spesso crudele
La natura non accetta le regole e le consuetudini umane
Lancio il sasso lontano dal gatto
Non voglio fargli male, che diamine
Versi uccelleschi provengono da ogni dove
Il rumore dei passi si raddoppia in una specie di eco, in prossimità del dosso
Mi inoltro nel bosco prendendo una strada secondaria rispetto a quella asfaltata
Raggiungo presto un chiaro del bosco
Una lichtung, un’apertura di luce, come m’insegna Mastro Heidegger
Come pure m’insegna -sorella nel cammino -Maria Zambrano
I sensi all’erta, annuso l’aria, mi guardo intorno, ascolto l’assenza di rumori meccanici
Continuando per questa strada chissà dove arrivo
Vedo un passero sui fili della luce
Uno solo, fischiettare la sua canzone alla sera
Tanti insieme appollaiati sui fili diritti farebbero una nota musicale su una partitura
La terra è umida ma il temporale posso evitarlo per ora
Il temporale arriverà mentre inizio a scrivere (proprio poco fa) a proposito de
Il pensiero che si forma camminando
Pensiero puro slegato da tutto, dalle contingenze, legato solo ai sensi all’erta
Non ci sono elaborazioni successive alla formazione del pensiero periclitante
Che avviene nell’atto stesso del mettere un passo appresso all’altro
Accanto alla locanda dove poco dopo andrò a mangiare odori di cucina lontani
Mangerò verdure cotte e il ripieno di un animale accompagnato da finocchio selvatico crudo
La mia bevanda sarà una birra fresca che consumerò a piccoli sorsi facendomela bastare
Fino alla fine del pasto veloce, run run run fino alla sazietà
Dopo il cammino una doccia calda
L’acqua scende copiosa sul taglio di capelli recenti
Ma sono ancora –la doccia calda verà dopo – sul tragitto, un circuito immaginario, vizioso, tutto mentale, creato
Improvvisando una traiettoria
Scendo per questo tratturo
(Ma so che non si chiama tratturo e sicuramente i contadini di qui non lo chiamano così)
Sul crinale della collina, evito sul ritorno la doppia curva -con frana- dell’andata
La strada tra i campi mi riporterà
Seguendo un training che superi la mezzora
Al punto di partenza di questo
Circuito immaginario
Verso il limite dei trentacinque minuti (qui esiste solo il tempo di percorrenza
Non il Percorso) riprendo la strada principale
Incrocio un paio di carabinieri fermi ad un incrocio strategico per i loro controlli di routine
Li saluto con un buonasera
Quello che impugna il mitra mi risponde con un cenno del capo
L’altro che scrive sul cofano della camionetta le targhe delle auto fermate e l’orario, mi dice salve
Percorro in salita il viale del cimitero con tutti quei foscoliani cipressi
Davanti al cimitero mi segno e prego a mani giunte guardando verso le tombe che si scorgono
Alzando lo sguardo sul muretto – luogo circoscritto di eternità e infinito nella finitezza della carne
Evito di entrare nel luogo santo dove i morti sono diventati uomini e donne tutti uguali
Il cancello cigolerebbe in modo sinistro come nelle migliori situazioni lovecraftiane
Vorrei lasciare nell’edificio chiuso che funge da chiesuola una fotocopia che ritrae mio padre sorridente
Nel giorno della Cresima della nipote grande e che sta sulla sua tomba
Lontano da qui, verso sud
Lascio la fotocopia sempre nel portafoglio
Prima o poi la metterò insieme alle immaginette dei cari morti altrui sulll’altarino nell’edificio
Dentro il cimitero così saprò per chi recitare le mie preghiere
Anche se i morti sono tutti uguali perchè nella morte diventiamo tutti uguali
Voglio dire potrei pregare rivolto a qualsiasi tomba anche a quella Lucia che sta in alto passando
Vedo la sua tomba costeggiando il muretto del camposanto
Sarebbe come pregare per tutti i miei morti, soprattutto per mio padre
Vorrei questo qualcosa in più, un’immaginetta iconica cui rivolgermi
Ormai sono vicino alla fine del mio giro
Mi tolgo le scarpette comode e le lascio nel bagagliaio della macchina
All’andata ho incrociato solo tre macchine
Al ritorno -sono sicuro- qualcuno mi ha visto e riconosciuto e prima o poi me lo dirà
Ti ho visto da quelle parti, eri proprio tu
Si, sto seguendo un mio training che comprende cammino e pensiero che si forma
In cammino
I sensi all’erta, gli dirò
…
2. ANCORA IN CAMMINO MA STAVOLTA I SENSI QUIETI NELL’OSSERVARE
Ancora in cammino ma stavolta i sensi quieti nell’osservare
E ascoltare e percepire
La mia ombra che cammina, il sole dietro le spalle, passi corti
A sinistra il mare respira lento con uno sbuffo sulla luce che allunga i contorni
Disegno un Percorso con la mente, pronto a quantificare tempi e accelerazioni
L’occhio vigile pur quieto, strabuzzando lo sguardo, calcolando il fiato
Importante è superare i quaranta minuti di cammino e forse tentare scatti
Inoltrarsi in canyon collinari e salire scoscesi, temendo presenze nell’erba alta
Seguire il sentiero di passi altrui, cacciatori mattutini con i loro fucili caldi
E i bossoli verdi e rossi delle cartucce, abbandonate qui e là
Percorso cifrato che consente un ritorno su coordinate conosciute
Ecco lì un segno del mio passaggio
Là ho sparato parecchi colpi, ferendo il silenzio dell’aria fresca del mattino con secchi rumori tonanti
Questo dice il mattutino cacciatore con il suo confondersi mimetico nella natura
Crudele stavolta è l’uomo che attraversa il passaggio d’erba alta
Un seggiolino malandato, rovesciato su un fianco e un perimetro di frasche
Che confondono il povero inconsapevole uccello di passo in un verde universale e
Indistinguibile, verde la copertura, verdastro l’abbigliamento
Li ho anche sentiti sparare qualche mattino presto, nebbioso momento liminale
Tra il sonno e la veglia quando trasfigurare le parole che diventano presenze
E’ un normale esercizio che compone il rito di passaggio mattutino
Visioni dell’essere-al-di-là-di-noi nella parola inverbata sulla lingua che schiocca
Sapere e conoscenza immediata
Automatico lingueggìo che non usa la via neuronica
Spontaneità del contendere significati fuori di noi, senza coinvolgere la coscienza di sé
Seguo una strada secondaria dopo il piccolo canyon nascosto
Un promontorio sovrasta la strada principale
Sono al limite del tempo che mi sono concesso
La sera scende e allunga le ombre
Ci vorrebbe la ripresa video del mio cammino
Ma solo la ripresa di quell’ombra che avanza lambendo il bosco senza mai penetrarvi davvero
Qualcuno che m’affianca dovrebbe catturare nell’inquadratura quel mio passaggio
Non dovrei farlo io, dovrei trovare un marchingegno per lasciare le braccia penzolanti libere sui fianchi
Incrocio sulla via del ritorno un uomo giovane che saluto con un gesto dicendo salute
Passo a destra e a sinistra per evitare le case con i cani grossi annunciati dai cartelli
Attenti al cane
Non vedo cani, qualche macchina sfreccia al mio fianco superandomi veloce
Devio a destra verso il piccolo cimitero, lo supero, supero il muro che lo circonda e mi chiedo perché dev’esserci un muro che segni il confine tra chi sta dentro e chi fuori
In discesa corro tra gli alti alberi foscoliani, in salita l’ombra di quegli alti alberi tratteggia il mio passaggio deciso, sono uno scalatore, non mi spaventano i passi verticali
Sotto la doccia calda poi sui corti capelli recenti il pensiero si annulla e segue un suo liquido fluire verso un vuoto sentire, verso un tendere al vuoto del pensiero pensato
Non del pensiero raccontato
Un coniglio mi aspetterà a cena nel vociare di tanti sconosciuti, la cuoca infilerà nella carne bianca, anche lei come l’altra dell’altra volta del pensiero che si forma camminando, del finocchio selvatico, stavolta cotto con cura e miscelato con spezie
Al ritorno il sole mi è contro
La luce intensa cancella lo sguardo, un blank di attenzione non permette allo sguardo di catturare l’orizzonte
I contorni dell’orizzonte, irregolarmente tratteggiato dai monti dell’entroterra, raccontano il senso della vita senza tracciare però segni di sorta
In cielo nessuna scia, solo piccole nuvole rinascimentali
…
3.UN UOMO MI HA VISTO CORRERE ECCO LO SAPEVO QUALCUNO AVREBBE FATTO CON ME QUELLO CHE FACCIO SEMPRE IO
Un uomo mi ha visto correre, ecco lo sapevo qualcuno avrebbe fatto con me quello che faccio sempre io con lo sguardo da lontano verso tanti sconosciuti incontrati per caso, vedere senza essere visto
Collegato alla Rete, con le webcam puntate sul mondo di là dallo schermo nella loro bidimensionalità, mondo apparentemente inespressivo, orizzontale, flatlandia, così ricco di storie in una rappresentazione della realtà anch’essa piatta, senza fronzoli narrativi
Quegli occhi rivolti altrove, quegli occhi elettronici spesso mossi da bracci meccanici
Ti ho visto correre, mi ha detto indicandomi, e sorrideva
Gli ho detto ho corso solo cinquanta metri, mi stupiva -mi stupisce- pensare che mi abbia visto correre proprio in quei cinquanta metri, gli unici di corsa
Cosa pensavo in quel momento?
Il pensiero che si forma camminando svanisce poi senza un esercizio di memoria, senza rime, senza metrica, senza una espressione ripetibile
Super incubi di nostra perlacea segnora scintille di feinn di formula d’intento
Questo riesco a ricordarlo bene, l’ho ripetuto tante volte, è un mio vecchio poema, l’ignoto continua a d
Ecco ci sono
In quel momento pensavo a quanto il mondo scorre veloce roteando sul suo asse e se lo percorro lentamente o velocemente è lo stesso, il mondo continua a scorrere senza curarsi delle mie riflessioni e può diventare inutile camminare o avanzare rapidamente, inutile per il Corso Universale delle Cose, ma importante –attenzione- proprio per quell’attimo che può sfuggire se non sottolineato da un’azione di rilievo, correre era l’azione rilevante di quel momento, per questo era importante farlo e pensare di farlo
La differenza è un infinitesimale attimo vissuto comunque in movimento
L’uomo che il giorno prima mi aveva visto correre continuava a non capire il mio stupore, dentro di me invece pensavo a come mimetizzarmi nella natura una prossima volta, come il cacciatore mattutino, per non essere visto
…
4. OGNI CAMMINO
Ogni cammino
Come un’epopea di passi
Leggenda di movimenti
Testimonianza di coordinazioni muscolari
E di visioni laterali
Riflessioni
Parole che si formano sulla lingua
Passi recuperati dagli immobilismi recenti
Passi lenti per avvertirne la consistenza
Passi che non lasciano orma però
…
Il Percorso si inventa sulla strada, camminare permette questa libertà, a destra c’è una fuga, nell’altra direzione il compimento di un sogno, ma di qua cosa c’è?
Mi permetto di guardare a terra e non salutare i passanti fino al momento dell’incrociarsi di sguardi e di tensioni non-verbali, solo i gesti parlano
Ad una donna anziana di questa domenica poco affollata insinuo con voce allegra – lo sguardo lontano, l’attenzione altrove: dicono che faccia bene una camminata, sembra che voglia giustificarmi
Come faccio io? dice la donna
Ho raccolto queste – indica un pugno di erbe varie – come faccio altrimenti?
Dicono che fa proprio bene, ripeto e mi allontano, la incontro di nuovo al secondo passaggio del Percorso, stavolta silenzio tra noi, il dialogo che non era nemmeno un ragionar tra sé
Aguzzo lo sguardo, come nei giochi enigmistici, in cerca di segnali
Ne trovo qualcuno davanti ad una casa in costruzione
Ci sono diversi pacchetti di sigarette Pall Mall di colore azzurro
C’è anche un pacchetto rosso dello stesso tipo di sigarette
Quando ripasso sul Percorso le rivedo
Ho intenzione di contarle, all’inizio ho questa intenzione ma
Non mi sembra un indizio rilevante nella statistica degli impercettibili inutili fatti del quotidiano
Ne conto comunque quattro
Mentre adesso scrivo mi rendo conto che il pensiero non si forma affatto, come ieri un passo dopo l’altro
Vorrei ritrovare la danza verbale del viandante che si rallegra in cuor suo d’una skyline immutata sulla destra quando sono in questa direzione di cammino, nei quasi due decenni in cui – il tempo è stato sempre un Percorso – quella linea non ha costituito semplicemente uno Stato d’Animo
…
Scoprire i particolari, comporre l’incastro, laggiù – devo voltami – c’era una torre medievale, sul punto più alto della linea, nella sua porzione centrale
Skyline, la linea del pensiero orizzontale
Ritorno a casa passando pel sito d’un monumentino che ricorda piccoli morti mondi antichi, un angelo mesto sorveglia la scena
Ripeto due volte il Percorso così lo vedo bene
Una sorta di replay, focalizzare l’attenzione sui particolari
Il cippo dei caduti di guerra da una parte ha una maggioranza di Cesari, nel versante opposto prevalgono i Giuseppi, questo penso sulle scale di casa, il portone cigola da qualche mese, il cigolio mi impedisce la concentrazione giusta per non dimenticare i particolari della scena, in realtà voglio trovare un libro
A casa cerco il volume di Mastro Heidegger intitolato “In cammino verso il linguaggio”
Non lo trovo subito, prima una doccia, ha una copertina dal doppio colore: rosso e verde scuro, non lo trovo subito, devo rifare gli stessi gesti di quando l’ho messo dove si trova per ritrovarlo, quando lo trovo (che animale che sono, eccolo là) apro a caso il volume con la copertina in brossura colore rosso-verde scuro
Cerco un senso immediato nel testo
Pagina 201, edizioni Mursia, prima pubblicazione italiana 1959, …zur Sprache, ci si inoltra per oscuri sentieri
Nel Dire originario – raccolgo un testimone spigoloso
Persiste una chiarificazione raccontante del linguaggio
Che indica il cammino verso il linguaggio
Che si spinge fin presso il linguaggio come linguaggio
Quindi al suo traguardo
…
La sera prima durante un colloquio che rimaneva sospeso
Non riuscivo a focalizzare una data, sfogliavo il catalogo di una mostra in memoriam
Dov’ero in quel giorno della mostra?
(Il libro sul linguaggio cercato e trovato in casa la sera dopo c’entra solo in parte, durante il colloquio il mio interlocutore del momento ha fatto una smorfia quando ho mostrato –“L’ultimo sciamano conversazioni su Heidegger”- appena comprato nella libreria sul corso, poco lontano dal luogo della conversazione, dove mi mostra il catalogo realizzato per l’artista scomparso da poco, ma poco son sette anni)
Perché non c’è una foto mia in quel catalogo visto che ce n’è una del mio amico?
…
La verità è che nel pomeriggio di quel primo aprile arrancavo su un Percorso desacralizzato
Accompagnato da un Cireneo caritatevole che continuava a parlarmi roteando quel suo dito dove indossa un anello a forma di crocifisso, incurvato per consentire di indossarlo
Un ronzio in testa mi impediva allora (sto facendo salti -come lampi- nel tempo) di capire le sue parole
Arrancavo fumando sigarette nervose, quell’ultima volta che ancora fumavo
…
Anche se in altro luogo ed estraneo ormai a tutto
Sono accanto alla carrozza nera concettuale ora
-Adesso la carrozza è proposta, per l’acquisto, ad un miliardo-
Opera dell’artista di cui si celebrava la memoria in quel primo aprile di burle
Nelle foto ci sono persone –ma non io- che
Appena passate le ore sedici
Tutti con i bicchieri in mano degli aperitivi
Vino bianco fresco per rallegrare la in fondo triste serata
Che triste in realtà non vorrebbe essere nelle foto
Semmai serata evocativa eccetera
…
Ecco perché non c’ero, adesso mi ricordo
Stavo morendo di morte lenta
Anche se poi ghermito per i capelli, iniettatomi di sangue e terra d’altre latitudini, con altre coordinate linguistiche in testa, un miscuglio di lemmi, singulti, schiocchi, francesismi, spagnolismi, esse finali, parole con poco stupido senso grammaticale, che diventavano tutte insieme un suono spaventoso che non ricorda altri sottofondi, tutto questo nel delirio di ricordi e di rimandi
La morte lenta, soffice, senza un apparente perché
Sembrava tutto così triste ma era un ripetere antiche formule giaculatorie con il mio amico durante quel colloquio in penombra
La mattina dopo, la domenica, il cammino e il pensiero che si forma camminando
Nessuna cosa è dove la parola manca
Posso gridarlo forte
…
5. LI HO VISTI FINALMENTE GLI UCCELLINI FERMI SU DUE FILI DELLA LUCE QUASI A FORMARE UNA NOTA MUSICALE SU UNO SPARTITO
Li ho visti finalmente gli uccellini fermi su due fili della luce paralleli quasi a formare una nota musicale su uno spartito
Ho superato quel punto visionario passandogli di lato, i fili tracciavano nell’aria linee che non si incontreranno mai, ho pensato a quando tracciavo linee anch’io su fogli regolari
Il foglio finiva sempre e le linee potevano continuare anche se solo la mente-che-vede di là dal foglio sarebbe stata capace di descrivere
Al ritorno gli uccellini non c’erano più, s’ascoltava invece un porco suono disumano di sofferenza, giù nella porcilaia
Passando rasente ad un prato sono ancora stupito del suono dei grilli diurni, sono così vicini
Ho sempre associato i grilli alla notte
La luna si alzerà tra poco nella direzione del cammino, dalla parte dove sorge il sole,
Forse un po’ più in là,
Mi sporgo dalla finestra, superando i rumori del traffico che entrano prepotenti, cercando di non farci caso
Prima per strada questo rumore non lo avvertivo per quanto fossi impegnato a schivare i cani che con determinazione dicevano “di qua dalla rete il territorio mi appartiene, capito?” nel loro modo cagnesco
Cresce la musica sintetica che le piccole casse del portatile mi permettono di ascoltare, questo sì è traffico di veloci macchine notturne, la musica descrive i giorni tutti attaccati L’uno all’altro e la difficoltà di renderne testimonianza pur con una parola appena, un gesto delle dita che sfrigolano l’aria intorno
…
Mi porto dietro una bandana con tante teste di morto, con le tibie incrociate proprio sotto il teschio
L’immagine simmetrica è rassicurante se presa nel senso piratesco delle teste di morto,
Sono dieci teste di morto con le tibie incrociate su un lato
Per tredici teste di morto sull’altro
Totale centotrenta teste di morto
Annodo la bandana al polso per asciugarmi il sudore quando verrà copioso e sarò controsole, la luce intensa dritta negli occhi a perfezionare l’impressione di vuoto tra l’universo esterno e quello interiore
Osservo ginestre e margherite lungo il Percorso, stavolta con l’idea incerta di crearne le coordinate, superando il promontorio che sovrasta le curve a gomito della strada asfaltata
…
Sotto la doccia mi guardo allo specchio e continuo a chiedermi – quasi come ogni mattino – chi è quell’uomo che mi guarda e si guarda allo specchio
Mi stupisco di trovare una risposta leggera che non ha bisogno di parole ma semplicemente di un’occhiata di intesa
Per il ritorno scelgo la via della chiesuola che trovo ancora chiusa
La via è dedicata ad un povero Duilio trucidato nel luglio del 1944
I cani da guardia delle case col prato mi abbaiano contro
Non alzo nemmeno il capo
Devo dimostrare indifferenza per non far vedere loro il senso della mia paura
Paura sottile forse ma m’immagino come affrontare un cane che ti si avventa contro
Qualcuno riposa nel cimitero, che supero, da molti anni
Maria è una di quelle che riposano qui
Prego sottovoce con le formule che conosco
Mi segno
..
Passi veloci per diventare oltreumani almeno metaforicamente
La fine del Percorso probabilmente arriverà quando riuscirò a mettere la fotocopia che ritrae mio padre, sulla mensola con le altre immagini di uomini e donne di cui rimane un ricordo
Adesso che è notte e il Brasile attacca la Croazia cerco la luna
Non ho guardato bene, non la trovo
…
6. IL PENSIERO STAVOLTA MI COGLIE ELLENICO CON LE SUE TRAGEDIE LUNGO IL TRAGITTO ACCALDATO
Il pensiero stavolta mi coglie ellenico con le sue tragedie lungo il tragitto accaldato
– non il Percorso in verità – verso la pausa-pranzo nel giorno di Bloom, giugno a metà, una prospettiva marina all’orizzonte, introibo ad altare Dei eccetera
Verso quel ristorante a Rimini dopo l’area archeologica di Piazza Ferrari che richiama nel nome freschi pomeriggi sotto le acacie con tutte quelle cicale nei giorni perduti che sembravano non finire mai,
Dove adesso le cicale non ci sono più – ma ci saranno mai state?
in quel ristorante persiste però il piacere della frescura pranzando all’aperto
Un pensiero – quello ellenico e maledetto – che non ammette repliche
Gli occhi si fanno subito umidi, difficile la parola immediata,
quella che esprime un sentimento,
Davanti a me il mio compagno di lavoro cammina veloce, non vede il mio sgomento,
…
Morire nella bella stagione è una consolazione,
non ci si intristisce in casa,
non si accende il fuoco nel camino per forza,
per distrarsi,
Il paese intero invece nel caldo di questo giugno crudele,
– aprile è passato da tanto –
mentre i treni sfrecciano verso Ancona da Roma,
accompagna la bambola morta con i pensieri immobili dei suoi abitanti,
…
Vieni a vedere c’è una bambola sul letto, sta dormendo
…
A nulla valgono le parole del prete che raccontano di alcune vergini che aspettano –alcune- lo sposo senza scorta di olio per la lucerna, le altre previdenti invece la scorta d’olio l’hanno fatta, sono le vergini da lodare,
Perché il giorno e l’ora non è dato sapere, ammonisce il prete
Mi sono chiesto, raccogliendo immaginette d’un Cristo a cuore aperto, quanto valgono quelle parole solo per ritualizzare l’abbracciarsi continuo di tutti verso tutti
Una notizia buona ed una cattiva, nel Bloomsday
La città che percorro si trasforma improvvisamente,
Luce accecante,
L’impegno professionale perde la sua valenza affrettata,
La notizia buona per prima, la buona notizia che smussa la cattiva subito dopo
La fine, il silenzio, le morte parole
La sera dopo e dopo ancora, guardando il tramonto penso a questi giorni i più lunghi pieni di luce
Il mattino dopo sono in cammino di nuovo
Raggiungo il percorso-vita
Tento una teoria del Percorso
Il primo giro recitando invocazioni con l’aiuto di una coroncina rigida ad anello
La preghiera è circolare, ritorna indietro, indietreggia e riparte
Sulle dita la coroncina lascia segni di pressione
Con la preghiera la mente si svuota riempiendosi di suppliche
Due giri, tre giri, cinque, sei: ognuno in un tempo-spazio di cinque minuti
Non cambio il Percorso se non alla fine
La possibilità di deviare è una prerogativa essenziale di questo andare
Quindi opero una svolta improvvisa
Zut vado a capicollo giù in discesa correndo
I pensieri si accapigliano tra loro mentre preghiere s’avanzano al contrario lentamente
Prego ancora ma solo per un po’
La discesa finisce, il Percorso è compiuto
7. I MORTI PARLANO AI VIVI ATTRAVERSO ENIGMI DENTRO SISTEMI COMUNICATIVI ANCHE ETEROGENEI
I morti parlano ai vivi attraverso enigmi dentro sistemi comunicativi anche eterogenei certamente eterodossi comunque estranei al comune sentire,
Devo porgere l’orecchio con attenzione, sporgermi persino, il corpo si sbilancia, porre una mano a conchiglia sul lato del capo più propenso a sentire – attento pervicace ascoltatore che non perde una battuta, sempre informato, costantemente in linea on line –propenso a captarli gli enigmi raccontati con essoterico richiamo
Quasi come una poesia ma non proprio con metodo poietico
Sono come vasi comunicanti
i liquidi raggiungono lo stesso livello
così i messaggi passano dai morti a me
cercando un equilibrio
nella visione del passaggio d’un aereo
in una coincidenza, un refuso, una parola che non riesci proprio a dire
in una frase captata nella programmazione televisiva di una docu-fiction
protagonista Tupac Shakur che dice – a me è capitato davvero –
se dopo la morte non c’è niente
il problema non si pone
alla domanda che fonda il dire stesso dell’essere
si contrappone negativismo e debolezza di pensiero forse assenza di soggetto
se c’è qualcosa – continua Tupac –
qualcosa di spirituale
allora saremo angeli
dopo la morte
L’espressione
Che voglio chiamiare sentenza
addirittura aforisma
mi apparteneva già di suo
Avevo usato le stesse espressioni
– ma proprio le stesse –
sul balcone di casa
fumando un antico toscano
…
Questo ho continuato a mischiare
all’odore dei campi
nelle disorganiche congetture del cammino
lungo un Percorso nuovo
che ha toccato i confini della Repubblica Titanica,
la mia mano, si, ha toccato il monolite
posto lì, sul limite riconosciuto, nel lontano 1911
e ho visto la prospettiva della linea ideale
che separa le competenze territoriali
e il diritto del sangue e della terra
Il Percorso ha conosciuto l’erba tagliata,
cani abbaiavano in lontananza,
la giornata di giugno era già più corta di quella precedente,
quella dell’ultimo solstizio dei miei quaranta anni